La cucina tradizionale dei Castelli Romani
Le tradizioni enogastronomiche del territorio dei Castelli Romani hanno radici profonde che ci riportano agli albori della civiltà.
In effetti dai tempi della nascita di Roma e fino all’espansione della sua potenza (che ha comportato l’introduzione di alimenti e tecniche alimentari di altri paesi) la cucina era ancora rozza, fatta di più portate preparate in modo sbrigativo.
Gli alimenti utilizzati erano principalmente cereali e leguminose (frumento, orzo, miglio, farro, segale, ceci, fave, lenticchie), per la produzione di pane e focacce, cui vanno aggiunti prodotti orticoli (zucchine, rape, etc) e frutta (meloni, fichi, melograni, mele, uva), oltre a miele e vino.
Erano sconosciuti alimenti che divennero poi fondamentali nella cucina tradizionale, come ad esempio fagioli, pomodori, melanzane, patate, burro, mais, agrumi (il cedro arrivò a Roma nel III sec. a.C.), albicocche, pesche, cotogne, ciliegie (giunsero a Roma in epoca imperiale), zucchero, caffè, tè, cacao, pasta e riso.
Le carni erano considerate cibo per le classi più agiate, e venivano cotte essenzialmente alla brace o allo spiedo; i pesci e le verdure erano invece destinati anche ai ceti meno fortunati, i quali le accompagnavano appunto con cereali, legumi, fichi freschi o essiccati.
Molto praticata era la pastorizia e ben conosciuta era la tecnica di produzione del formaggio, specie quello di capra, fatto anche stagionare.
La coltivazione della vite era praticata già da tempo e i vini venivano bevuti allungati con acqua e aromatizzati con erbe e resine o profumi.
Nella Roma arcaica (V e IV sec. a.C.) il modo di mangiare era piuttosto sobrio e frugale; durante il pranzo meridiano il piatto forte sembrava fosse solo del pane, senza companatico.
Ma già nella Roma repubblicana troviamo abitudini alimentari più simili a quelle odierne: una prima colazione, lo ientaculum, a base di pane e vino, accompagnato da latte, uova, formaggi e frutti; il prandium di mezzogiorno, composto anche di pietanze calde; la coena serale che rappresentava il pasto principale.
Nell’età classica la diversificazione delle portate e la maggiore disponibilità degli alimenti denotarono l’avvento di una vera e propria arte gastronomica, appannaggio di cuochi professionisti ingaggiati a giornata o per brevi periodi da ricchi committenti.
Le ricette di quell’epoca giunte fino a noi erano spesso a base di pesce, e molto apprezzati divennero gli uccelli, la cacciagione e le lepri.
In epoca imperiale il lusso e lo sfarzo del costume ebbero riflessi particolarmente importanti nella tavola.
Nacque una spasmodica ricerca del raro, dell’appariscente, del perfezionismo, dello sbalorditivo e nei famosi banchetti di Lucullo, Apicio, Trimalcione, oltre ai classici maiali, capretti, agnelli, pollame e cacciagione, fecero la loro comparsa animali insoliti come pavoni, pappagalli, fenicotteri, gru, ghiri e persino struzzi.
La carne bovina considerata di qualità più scadente era destinata invece alla mensa più povera o plebea.
Sempre importante il ruolo del pesce che rappresentava un cibo ricercato ed era tra i preferiti.
Il vino era una bevanda consumata abitualmente al tempo della Roma imperiale; al tempo di Plinio, agli albori dell’era cristiana, si conoscevano circa 80 vitigni e più di 200 tipi di vino: il Falerno della Campania, il Cecubo laziale, il Mamertino siculo erano tra i prodotti più noti, ma nella capitale si potevano degustare anche vini d’importazione spagnola o gallica.
I primi condimenti
Nel continuo tentativo di rendere più gradevole la propria alimentazione, si arrivò molto presto a migliorare
il gusto dei cibi con una serie di condimenti, che servivano fondamentalmente:
a. per ungere: inizialmente si utilizzava solo il midollo ottenuto dal taglio delle ossa animali; in seguito, con la conoscenza dei primi sistemi di cottura, si aggiunsero sia il grasso animale (ottenuto dalla macellazione), sia gli oli vegetali, ottenuti per spremitura;
b. per salare: si usava essenzialmente salgemma (sale minerale) e sale marino ottenuto dall’evaporazione dell’acqua di mare. L’importanza di questo condimento per l’alimentazione è tale che, fin dai primordi, il sale rivestì un ruolo fondamentale nelle economie di scambio;
c. per addolcire: dopo la linfa dolce che sgorga dalle cortecce di certe piante (acero dolce), l’uomo scoprì il miele delle api selvatiche depositato sotto le cortecce o nei tronchi cavi;
d. per insaporire: si cominciarono ad utilizzare erbe aromatiche del territorio al fine di migliorare l’odore e il sapore degli alimenti.
Un posto importante nella mensa della Roma imperiale l’occupò il garum, un condimento usato frequentemente in moltissime preparazioni. Il garum (chiamato anche liquamen) era un liquido dal gusto difficilmente immaginabile, ottenuto facendo macerare per una notte dei cascami di pesce con sale, vino e aromi vari. Si trattava in pratica di un esaltatore di sapore impiegato come la salsa di soia nella cucina cinese o il concentrato da brodo nella nostra cucina.
Il Medioevo
Con le invasioni barbariche scomparvero o si ridussero le coltivazioni di vite, di ulivo, di cereali e molte altre pratiche agronomiche.
Di colpo sparirono spezie e salse (anche il noto garum), e il cuoco dell’Alto Medioevo ebbe a disposizione una minore varietà di alimenti per preparare le sue pietanze, in quantità limitata e solo in certi periodi dell’anno.
Gli unici luoghi dove ancora era possibile trovare coltivazioni agricole di un certo spessore erano i monasteri e le abbazie, dove i contadini potevano svolgere il loro lavoro in relativa tranquillità.
L’arrivo degli Arabi intorno all’anno 800 portò alcune importanti novità nel campo alimentare: dall’Oriente fu introdotto lo zucchero (dall’arabo sukkar), il riso, molte varietà d’agrumi, la palma e moltissimi tipi di spezie scomparse dopo la caduta dell’Impero Romano.
Anche le Crociate, iniziate nel 1096, contribuirono a portare in Europa numerosi alimenti e insieme ad essi diverse tecniche per poterli conservare.
Nel Medioevo fece la sua comparsa il burro e migliorò notevolmente la tecnologia casearia. Si cominciarono a produrre diverse tipologie di formaggi, alcuni dei quali molto apprezzati nelle nostra gastronomia attuale.
Il Medioevo fu il periodo d’oro per il maiale: il consumo della sua carne divenne preponderante rispetto a quella bovina, anche perché quest’ultima non si prestava bene alla salatura e non poteva essere conservata a lungo.
La dieta delle popolazioni rivierasche era invece più ricca di pesce, e furono adottati ed importati sistemi di conservazione come la salagione e l’affumicatura.
Con il notevole frazionamento politico dell’Italia si svilupparono pian piano usi e tradizioni gastronomiche molto differenti tra loro, che risentivano delle molteplici influenze straniere.
Da qui nacquero nel Medioevo le prime cucine regionali, tra cui si distinsero quella veneziana, più ricca di sapori orientali, e quella fiorentina, più schietta e legata ai prodotti locali.
Il Rinascimento
Il XVI secolo fu il periodo più fulgido del Rinascimento italiano, anche sotto il profilo gastronomico e del comportamento a tavola.
Comparvero per la prima volta sulla tavola la forchetta, il bicchiere individuale, gli stuzzicadenti, il tovagliolo, e molti utensili vennero inventati per gli usi culinari: le rotelle tagliapasta, i setacci, i recipienti per stufare, gli spremilimoni e via dicendo.
Nacque una vera e propria gerarchia di specialisti del servizio e delle preparazioni culinarie, preludio della più moderna brigata di cucina e di sala (scalchi o maggiordomi, trincianti, bottiglieri ecc.).
Con il matrimonio di Caterina de’ Medici con il futuro re di Francia Enrico II, il centro dell’attività gastronomica si spostò da Firenze a Parigi.
La nuova regina portò con sé un nutrito stuolo di cucinieri, pasticceri e altri professionisti che trovarono in Francia il terreno più fertile per far diventare grande la cucina francese del Seicento e del Settecento.
Le grandi novità alimentari dell’Ottocento
La maggiore disponibilità di prodotti, dovuta al miglioramento delle colture agricole, nonché all’ampliarsi dei mercati e alla rivoluzione dei trasporti, è la caratteristica principale dell’alimentazione dell’Ottocento.
Due piante rivestono una notevole importanza alimentare in questo secolo: la patata, che permise di risolvere i problemi alimentari di popolazioni tradizionalmente povere come gli irlandesi e i tedeschi, e la barbabietola da zucchero, la cui coltivazione, stimolata da Napoleone, finì per soddisfare i bisogni di zucchero degli europei, incrementando notevolmente l’arte pasticcera.
Verso la fine del secolo, in Francia nacque la margarina, un nuovo tipo di grasso inventato da un abate francese, che costituisce oggi uno dei grassi di condimento più consumati a livello mondiale. Sempre a proposito dei grassi di condimento è bene ricordare che nell’Ottocento, mosse i primi passi l’industria degli oli di semi, ricavati utilizzando soprattutto la palma e l’arachide.
Le erbe aromatiche e officinali.
Nei secoli passati, il sale da cucina era una merce preziosa, le erbe aromatiche e le spezie avevano un grande ruolo nel campo gastronomico e non solo; se infatti confrontiamo i reperti trovati nelle aree archeologiche vesuviane con l’elenco di cibi e bevande riportati nella letteratura classica, in particolare di quanti hanno scritto ricette, non riusciamo a distinguere in maniera chiara tra alimenti, condimenti e medicinali.
Mentre i Greci prediligevano l’uso delle erbe in cucina, i Romani erano attratti dall’uso delle spezie provenienti dai commerci con l’Estremo Oriente e, più che utilizzarle in cucina, le disponevano in casa in grandi urne per profumare gli ambienti. Nel Medioevo le erbe aromatiche venivano utilizzare per mascherare i cattivi odori e scongiurare il dilagare di malattie: negli ospedali si bruciavano bacche di ginepro e rosmarino per disinfettare l’aria e prevenire il contagio. Nei monasteri si studiavano le proprietà medicinali delle erbe, si preparavano medicine e si compilavano erbari; il popolo però si rivolgeva prevalentemente a guaritrici e levatrici che preparavano cure a base di erbe “semplici”, che potevano essere reperite facilmente.
Nel Rinascimento le spezie vennero messe da parte e si ristabilì l’uso primario di erbe fresche o essiccate in cucina: le erbe infatti esaltavano maggiormente il sapore delicato di ingredienti semplici e stagionali.
L’olio, la farina e il vino, così come il succo di limone, la salvia o il rosmarino, che compaiono quotidianamente sulle nostre tavole, in epoca romana erano presenti anche nelle farmacie di casa, talora unicamente come piante medicinali.
Costituivano, cioè, gli ingredienti impiegati dai profumieri e dai farmacisti per preparare farmaci e/o cosmetici.
Piante e resine aromatiche venivano, ad esempio, messe a macerare in olio di oliva, il più prezioso ottenuto da olive ancora verdi, o nel vino, in alcuni casi ricavato anche da grappoli d’ uva immaturi, utilizzando tecniche di lavorazione comuni sia alla medicina che alla cosmesi, così che molto spesso il produttore era unico.
La tradizione di usare piante alimentari per curare malattie si è protratta del resto nel tempo, tanto da essere ancora viva nella medicina popolare dei nostri nonni e talora si è conservata intatta fino ai nostri giorni: per combattere la nausea, ad esempio, ancora oggi si consiglia di mangiare una fetta di limone o di bere un infuso di alloro.
Seppure in misura minore anche i prodotti di origine animale erano usati con diversa valenza. I pesci ed i molluschi, ad esempio, servivano a curare le più diverse malattie: la parotite con la cenere dei murici, la malaria con il fegato di delfino e così via.
Lo stesso garum, la nota salsa di pesce ottenuta dalla fermentazione sotto sale delle parti di scarto del cosiddetto pesce azzurro, era considerato un medicamento utile a guarire le ustioni, le ulcere, e anche i morsi dei cani.
Nelle nostre tradizioni popolari, l’olio di fegato di merluzzo fino a qualche decennio fa era considerato il ricostituente ideale per i ragazzi.
Questa commistione tra cibo e medicina del resto perdura nelle comunità primitive o in quelle tanto povere da non poter accedere all’ acquisto di medicinali.
Leggendo quindi le antiche ricette e confrontandole con quelle attuali talvolta si rimane sorpresi a volte per l’uso di ingredienti che appaiono lontanissimi dalle nostre abitudini alimentari, altre volte invece per la straordinaria continuità.
Se i baccelli di fave e di piselli venivano ancora consumati sessanta anni fa in tempo di guerra, appare invece impossibile che si possa mangiare quel fieno greco o quella farina di ghiande che Apicio considerava prelibatezze.
Di contro, la salagione dei prosciutti così come descritta da Columella, le grandi forme di formaggio che Plinio descrive come prodotti caseari tipici dell’ attuale Emilia, i filetti di tonno conservati sotto sale e affumicati realizzati dai pescatori calabresi e siciliani (è sempre Plinio a raccontarlo), financo lo stesso garum che in una forma molto simile è ancora prodotto dai pescatori di Cetara, appaiono chiaramente all’ origine di prodotti considerati tipici della tradizione culinaria italiana.
È quindi interessante mettere a confronto ricette distanti duemila anni per registrare convergenze e divergenze in fatto di ingredienti e di gusto.
Le ricette di Apicio
In questo estratto di ricette del “De re coquinaria” di Apicio è stato seguito il criterio di sostituire il garum (o liquamen) delle ricette originarie con salsa di soia e pasta di acciughe oppure con brodo salato e insaporito; in realtà, una salsa molto simile al garum viene prodotta sotto la dicitura di “colatura di alici” dai pescatori di Cetara, ma non è così facile reperirla nei normali canali della grande distribuzione. Altrettanto si può dire per il ligustico, difficile da reperire e sostituibile con un misto di sedano e prezzemolo.
Per il resto le modifiche tengono conto dell’evoluzione del gusto e della diversa disponibilità di alimenti.
Pesce salato senza pesce salato. (Pesce di fegato)
Traduzione
Cuoci fegato, pesta, e metti pepe o liquame o sale. Aggiungi olio. Fegato di lepre o di capretto o di agnello o di pollo; e se vorrai, formerai un pesce in uno stampino. Aggiungi olio verde sopra.
Interpretazione
Cuoci 250 gr. di fegati misti, di pollo, vitello e agnello nel minimo d’acqua o di brodo leggermente salato.
Sgocciola e frulla con qualche cucchiaio del brodo di cottura, mezzo cucchiaino di pepe macinato fine e un pizzicone di sale. Aggiungi da 2 a 10 cucchiai d’olio, a seconda della consistenza che vuoi ottenere.
Ungi con strutto uno stampo a forma di pesce e pressa la purea di fegato nello stampo senza lasciare aria. Se deve essere conservato a lungo, copri e cuoci coperto mezz’ora in forno a 110°C oppure a bagnomaria. Tieni in frigorifero. Scalda lo stampo per rovesciare il pesce su un piatto di portata. Irrora con olio verde e filetti di alici prima di servire.
Tyropatina (Budino di formaggio)
Traduzione
Prendi latte in proporzione al tegame, emulsiona il latte con miele come per fare lactantia, metti 5 uova per un sestario o 3 per 1 emina. Sciogli nel latte in modo da fare un corpo unico, cola in (pentola) Cumana e cuoci a fuoco lento. Quando è rappresa spargi di pepe e servi.
Interpretazione
Impasta con una forchetta da 2 a 6 o più cucchiai colmi di miele con 5 uova e 250 gr. di formaggio bianco (sarebbe preferita la feta ma il sapore risulta meno aggressivo e più ricco usando una miscela, ad esempio 100 gr. di ricotta, 50 gr. di caprino e 100 gr. di feta; se il latte o i formaggi usati sono molto magri, aggiungi 20 gr. di burro). Diluisci gradualmente con 600 ml. di latte crudo; cola per eliminare grumi e, soprattutto, bolle d’aria.
Cuoci al forno medio (130°C) in una teglia unta di olio (o di burro, se preferisci) coperta e sigillata finché diventa sodo (da 1 ora a 1 ora e mezza). Rovescia su un piatto di portata quando è freddo; lascia riposare mezz’ora, scola via il latticello eventualmente separato e spolvera di pepe prima di servire.
Conchicla commodiana (Conchiglione di piselli secondo Commodo)
Traduzione
Cuoci i piselli. Quando avranno schiumato, pesta pepe, ligustico, aneto, cipolla secca, bagna con liquame, emulsiona con vino e liquame. Metti in tegame affinchè si imbeva. Poi sciogli 4 uova, metti in 1 sestario di piselli, mescola, metti in (pentola) Cumana, poni sul fuoco, affinchè si rapprenda, e servi.
Interpretazione
Ammolla in acqua per una notte 250 g di piselli secchi. Lava in diverse acque e cuoci nel minimo d’acqua; quando schiumano, togli dal fuoco. Polverizza 6 grani di pepe un pizzico di sedano e prezzemolo, 1 cucchiaio di aneto secco e 2 cipollotti freschi senza il loro verde (o 1 cipolla mezzana); riprendi con 3 cucchiai di salsa di soia e 3 cucchiaini di pasta d’acciughe (liquame), emulsiona con un altro cucchiaio di salsa di soia, 1 cucchiaino di pasta d’acciughe (liquame) e 4 cucchiai di Marsala secco. Scalda a fuoco dolce, mescolando e togli dal fuoco prima dell’ebollizione. Sgocciola i piselli; batti la salsa con 4 uova, mescola con i piselli sgocciolati e rimetti sul fuoco in una pentola bassa a fondo spesso finchè il tutto è rappreso.
Dolci casalinghi (Datteri caramellati)
Traduzione
Farcisci con una noce o pinoli o pepe tritato (frutti di ) palma o datteri snocciolati. Tocca fuori col sale, friggi in miele cotto, e servi.
Interpretazione
Prepara una delle farce seguenti, descritte nel testo riportato sopra:
1) 1 gheriglio di noce, spezzato in 4, per dattero
2) 6-8 pinoli interi per dattero.
3) 3 grani di pepe per dattero.
Oppure:
4) Rompi grossolanamente grani di pepe nero, mescola con pinoli spezzati in 3 o con gherigli di noce divisi in otto, lega con miele; proporzioni per un dattero: 3 grani di pepe, 6 pinoli o mezza noce; di miele, il minimo per ungere la frutta secca e farla stare insieme.
Snocciola piccoli datteri non troppo maturi, riempi con la farcia scelta e richiudi bene. Fai aderire alla superficie esterna qualche granello di sale non troppo fine e appena inumidito. Scalda in un padellino il miele (una cucchiaiata colma per una dozzina di piccoli datteri) fino alla seconda schiuma, caramella i datteri per pochi minuti, rivoltando senza romperli. Consuma subito, caldo o lascia raffreddare su una griglia.
Terrina Lucreziana (Zuppa di cipollotti secondo Lucrezio)
Traduzione
- Pulisci cipolle pallacane (getta il loro verde), taglia in terrina. Moderato liquame, olio e acqua. Mentre cuoce, disponi in mezzo pesce salato crudo. Ma quando sarà quasi cotta col pesce salato, spargi 1 cucchiaione di miele, poco di aceto e di mosto cotto. Assaggia. Se sarà sciocco, aggiungi liquame, se salato, miele moderato. E spargi di corona vaccina, e che bolla.
Interpretazione
Pulisci 500 g di cipollotti, gettando il verde ma lasciando qualche centimetro di foglia sopra il bulbo. Metti in una pirofila 1 cucchiaio di salsa di soia, 1 cucchiaino di pasta d’acciughe (liquame), 3 cucchiai d’olio e mezzo bicchiere d’acqua; mescola e scalda. Taglia i cipollotti in 2 per il lungo e disponili ordinatamente nella pirofila. Porta all’ebollizione e a metà cottura aggiungi 2-5 filetti di aringa affumicata, tagliati a strisce per traverso. Disponi le strisce di aringa in modo decorativo tra un cipollotto e l’altro. Non mescolare mai: per distribuire il sugo scuoti e inclina la pirofila. Prima della cottura completa, sciogli 2 cucchiai di miele in 2 cucchiai di Marsala secco
Cardi (Cardi in salsa d’uovo sodo)
Traduzione
Liquame, olio e uova tagliate.
Interpretazione
Pulisci, taglia a tronchetti di 10 cm. un cespo di cardi e lessa nel minimo di acqua. Sgocciola i cardi. Fai rassodare per 8 minuti 4 uova, raffredda sotto acqua corrente e sguscia. Metti in una brasiera 5 cucchiai di salsa di soia, 5 cucchiaini di pasta d’acciughe ( liquamen) e 5 cucchiai d’olio; mescola e porta all’ebollizione. Disponi ordinatamente i cardi nella salsa ( se piace un sapore più intenso, aggiungi l’acqua di cottura eventualmente concentrata), affetta le uova sopra i cardi, copri. Fai marinare a caldo, senza bollire, per mezzora. Servi caldo.
Dolci (in altro modo) – (Dolcetti al pepe)
Traduzione
Metti in piperato miele, (vino) schietto, passito, ruta. Mettigli pinoli, noci, farina (d’orzo) lessata. Aggiungi nocciole tostate e tritate, e servi.
Interpretazione
Metti in infusione 12 grani di pepe in 1 cucchiaio di salsa di soia e un cucchiaino di pasta d’acciughe. Dopo una notte di infusione, polverizza il pepe ed impastalo con il liquido di infusione e stempera con 20 g di cotognata; oppure con due fichi secchi morbidi, bagnando con un po’ di Marsala dolce; oppure con solo passito di Pantelleria e 4 foglie di ruta ben sminuzzate; Impasta con 100 gr. di pinoli e 100 gr. di noci polverizzati, aggiungi 100 gr. di semola di grano tenero bollita in poca acqua per mezz’ora. Forma delle pastine. Fai tostare leggermente in forno o in tegame 50 gr. di nocciole; decora le pastine con le nocciole tostate, tritate grossolanamente.
Antipasto di albicocche
Traduzione
Dure primaticce ( piccole albicocche ) pulisci, snocciola, metti in acqua molto fredda, disponi in terrina. Pesta pepe, menta secca, copri di liquame, aggiungi miele, passito, vino e aceto. Versa nella terrina su albicocche, aggiungi olio moderato e (fai) che bolla a fuoco lento. Quando avrà bollito, lega con amido. Spargi di pepe e servi.
Interpretazione
Sbuccia 700 g di albicocche, snocciolale e mettile subito in acqua fredda in una terrina. Polverizza 7 grani di pepe, 1 cucchiaio di menta secca, riprendi con 5 cucchiai di salsa di soia (liquame), aggiungi un cucchiaio di miele colmo, mezzo bicchiere di moscato di Pantelleria, mezzo bicchiere di Marsala secco e 1 cucchiaio di aceto; versa sulle albicocche. cospargi con un velo d’olio e fai bollire a fuoco basso per mezz’ora, scoperto. Sgocciola il sugo di cottura in un tazzone, aggiungi 2 cucchiai di amido di frumento, batti fino a che sono scomparsi i grumi, versa di nuovo sulle albicocche. Finisci la cottura, ossia fino a quando la salsa è rappresa Cospargi di pepe tritato grossolanamente e servi tiepido o caldo.