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APC-AM20131227_093832_2BEE2823-kzvE-U10201938000271LVH-426x240@LaStampa.itLa Stampa.it - 7/1/2014 - silvia bencivelli Gli oceani assorbono la CO2 e la trattengono nelle loro profondità, ma sono un ingranaggio fondamentale per gli equilibri dell’atmosfera. La conseguenza è che stanno diventando più acidi. E che la vita di interi ecosistemi marini è gravemente a rischio [...] Ne parla l’Ipcc (Intergovernamental Panel for Climate Change) nel suo ultimo rapporto e ne parlano diverse pubblicazioni scientifiche recenti. Ma l’acidificazione degli oceani non è una novità, anzi: “è una delle poche certezze che abbiamo sui meccanismi complessi dei cambiamenti climatici, perché dietro c’è una chimica facile facile”, spiega Marcello Vichi, oceanografo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) di Bologna. Chimica facile: la CO2 si scioglie in acqua e forma un sale (il carbonato di calcio) liberando uno ione idrogeno, che determina l’acidità dell’acqua. Ma questo significa anche che quanta più CO2 c’è nell’aria (e c’è, ricordiamolo, perché ce la buttiamo noi), tanto più il pH dei mari diventa acido. Finché la CO2 era entro certi limiti, cioè prima che avessimo cominciato a produrla con la combustione di petrolio e affini, non era un problema, anzi: “il carbonato di calcio viene usato da crostacei e coralli per costruirsi il guscio e lo ione idrogeno è stato sempre tamponato in modo che i mari potessero avere più o meno sempre lo stesso pH”. Adesso invece, due secoli e passa dopo l’inizio dell’industrializzazione del pianeta, la storia è diversa. “Gli oceani – prosegue Vichi – hanno già assorbito il 30% della anidride carbonica che abbiamo prodotto fino a oggi: questo ha già comportato una variazione del pH ben misurabile.[...] La questione è tanto complessa che c’è chi sta cominciando a dire che l’acidificazione dei mari può a sua volta diventare concausa del sovrariscaldamento del pianeta: un articolo pubblicato su Nature Climate Change da ricercatori americani, tedeschi e inglesi ( http://www.nature.com/nclimate/journal/v3/n2/full/nclimate1680.html ), per esempio, ipotizza che l’abbassamento del pH possa modificare il rilascio da parte dell’acqua marina di solfuri. ... http://www.lastampa.it/2014/01/07/scienza/ambiente/inchiesta/clima-cresce-lallarme-per-lacidificazione-degli-oceani-sbZ6my9NgClNnyLOeLhBaK/pagina.html
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foresta[1]   La stampa.it - 7/1/2014 alberto abburrà Economica, facile da produrre, ma anche redditizia, eterna e, come se non bastasse, pure ecologica. La carta d’identità della bioenergia (quella generata dalla combustione delle biomasse) ha il sapore di uno spot, ed esattamente come avviene per gli slogan che promettono l’impossibile, rischia di nascondere qualche insidia I dubbi sull’efficienza e la sostenibilità di questa pratica energetica, peraltro già noti e discussi, sono stati raccolti dall’Agenzia europea dell’Ambiente (EEA) che ha pubblicato un rapporto dal titolo: “Bioenergia in Europa da una prospettiva di efficienza delle risorse”. Considerando la crescita del settore che oggi - sempre secondo l’EEA – rappresenta circa il 7,5% della produzione energetica nell’Ue e oltre il 50% del comparto “rinnovabile”, l’obiettivo del rapporto è quello di ridurre gli effetti negativi sull’ambiente. «La bioenergia è una componente importante del nostro mix energetico – spiega il direttore dell’Agenzia, Hans Bruyninckx -, ma le biomasse forestali e il territorio produttivo sono risorse limitate e fanno parte del capitale naturale». Qui emerge il primo problema: lo sfruttamento del territorio. Considerata la natura estensiva delle coltivazioni per produrre biomasse, c’è il forte rischio che venga sottratto spazio ad altri settori (come quello alimentare). E non solo... http://www.lastampa.it/2014/01/07/scienza/ambiente/focus/bioenergia-leuropa-corregge-il-tiro-EbjY5WkU6hHGlRizpjn9ZM/pagina.html
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La Stampa.it - tuttoscienze, 7/1/2014 I risultati di uno studio pilota condotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano Nei pazienti affetti da melanoma l’analisi molecolare dei ”linfonodi sentinella” (i linfonodi più vicini all’area del tumore e più a rischio di metastasi) può identificare i casi a maggior rischio di recidiva nei 5 anni successivi all’intervento chirurgico di rimozione dello stesso. Queste informazioni non vengono dal tumore ma dalle nostre difese immunitarie.Lo studio pilota è stato condotto dal gruppo di ricerca guidato da Monica Rodolfo, biologa dell’Unità di Immunoterapia dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, pubblicato sulla rivista scientifica Cancer Research. http://www.lastampa.it/2014/01/07/scienza/tumori-la-risposta-immunitaria-identifica-i-rischi-di-recidiva-BzxsxkNQUHuwz79vrMqNJL/pagina.html
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