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VERBALE N.1 - SEDUTA PRELIMINARE
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Comunicato Stampa

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Cellule tumoralI: UN LED BLU PER FARE LUCE SULLA “MITOFAGIA”, IL PROCESSO DI SMALTIMENTO RIFIUTI cHE LE TIENE IN VITA

I ricercatori del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma “Tor Vergata” hanno scoperto che l’uso di un led blu aiuta a studiare la mitofagìa, uno dei processi che mantengono in vita le cellule tumorali. La scoperta è stata appena pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica “Nature Communications”. Sensori biologici applicati alla cellule, capaci di ricevere impulsi di luce blu (la stessa che può essere utilizzata per illuminare un acquario tropicale), controllano l'avvio e l'arresto del processo di smaltimento rifiuti, la mitofagìa appunto, comportandosi come dei mini-interruttori. Tale processo si attiva in tutte le cellule ma in modo più efficace nelle cellule tumorali. La luce blu è inoffensiva e ha effetti completamente reversibili, per questo l’utilizzo della nuova tecnica potrebbe rivelarsi molto utile nelle applicazioni terapeutiche.

Roma, 18 aprile 2019 - Una nuova tecnica a luce blu, messa a punto dal Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in collaborazione con l'Area di Onco-ematologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e la Società Danese per il Cancro di Copenhagen, consente di studiare un processo cellulare al rallentatore. Il metodo è chiamato "optogenetica" e permette di avviare e arrestare processi vitali all'interno delle cellule. «Un po’ quello che succede con la tecnica della moviola nel montaggio cinematografico, con la riproduzione rallentata di un filmato e la possibilità di arresto in corrispondenza di una singola immagine» - spiega Francesco Cecconi, Dipartimento di Biologia di Roma “Tor Vergata”, e responsabile della nuova ricerca. - Soltanto che in questo caso al posto degli attori, troviamo le proteine e i ricercatori hanno l'opportunità di vederle nel dettaglio ​​all'interno delle cellule». In origine l'optogenetica ha consentito di studiare flussi di ioni nei neuroni, associando la luce blu alla capacità di alcune proteine, specie di natura vegetale, di rispondervi istantaneamente. Con questa nuova scoperta, i ricercatori di “Tor Vergata” hanno dimostrato che il metodo può essere utilizzato per studiare in che modo funziona il sistema di riciclaggio dei rifiuti delle cellule cancerogene.

«In condizioni di stress o in mancanza di nutrienti - prosegue Francesco Cecconi - le cellule dei nostri tessuti si vedono costrette ad ottimizzare l’uso delle proprie risorse energetiche per poter sopravvivere. Oltre a risparmiare energia, durante questo periodo la cellula cerca anche di recuperare nutrienti preziosi riciclando molte delle sue stesse componenti, attraverso un processo conosciuto come autofagìa». Quello che gli scienziati vogliono conoscere in dettaglio è come le cellule tumorali regolano lo smaltimento di una particolare forma di rifiuto al loro interno, ovvero i mitocondri. Questi, che agiscono come impianti cellulari di produzione energetica, nel corso del tempo vanno incontro a un continuo logorio. La mitofagìa è una particolare forma di autofagia che consente lo smaltimento dei mitocondri logorati. Sebbene questo processo abbia luogo quotidianamente in tutte le nostre cellule, anche se a livelli molto modesti, nelle cellule tumorali la mitofagìa funziona a ritmi serrati e si trasforma in un importante strumento bioenergetico consentendo così alle cellule tumorali di sopravvivere alle reazioni di difesa da parte del nostro organismo e di proliferare - afferma Cecconi -. Avere finalmente a disposizione gli strumenti per studiare ogni fase di questo processo con così tanta cura è davvero eccitante! Una maggiore conoscenza di come le cellule tumorali regolano il loro sistema di stoccaggio e riciclaggio dei rifiuti, fra cui i mitocondri logorati, in futuro potrebbe essere alla base di nuovi trattamenti».

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Esistono già diversi metodi di laboratorio per avviare il processo di mitofagía nelle cellule, ma questi si basano su composti chimici molto aggressivi, in grado di innescare contemporaneamente molti altri processi nelle nostre cellule, ma soprattutto senza la possibilità di interromperli una volta avviati. «La luce blu è inoffensiva e ha effetti completamente reversibili, per questo l’utilizzo di questa nuova tecnica potrebbe rivelarsi molto utile nelle applicazioni terapeutiche», evidenzia Cecconi.

Il primo passo della nuova tecnica è consistito nell'utilizzare l'ingegneria genetica per applicare una molecola fotosensibile - una sorta di sensore - alle proteine ​​che gli scienziati conoscono come "iniziatori" della mitofagía, come ad esempio la proteina AMBRA1. «La parte sensibile alla luce si attiva quando le cellule sono illuminate con luce blu. Se ciò accade, la proteina AMBRA1 viene a sua volta indotta a generare una vescicola cellulare specifica, l'autofagosoma, che inghiotte i mitocondri e innesca la mitofagía. Questa tecnica ci consente di individuare le proteine ​​ attivate e quelle disattivate quando accendiamo o spegniamo la luce blu (anche per intervalli molto brevi di tempo). In questo modo possiamo apprendere quali proteine o quali loro modificazioni siano coinvolte nella regolazione della mitofagía. Oggi non sappiamo quasi nulla sulle fasi iniziali del processo di mitofagìa, ma siamo ottimisti sul fatto che i primi momenti possano essere la chiave per capire come, attraverso trattamenti futuri, il processo possa essere attivato o interrotto», conclude Francesco Cecconi. Questa nuova tecnica apre, inoltre, un’ulteriore possibilità: manipolare la funzione dei linfociti - le cellule prodotte dal nostro sistema immunitario. I linfociti sono vitali per la difesa del nostro organismo contro il cancro. Utilizzare la tecnica a luce blu per prelevare da pazienti oncologici i linfociti, che vengono poi modificati e re-introdotti nel paziente, potrebbe costituire un trattamento nuovo ed efficace per una varietà di tumori, incluse le leucemie.

“Reversible induction of mitophagy by an optogenetic bimodular system” Nature Communications 10, (2019)Credits comunicato stampa:

a cura di Pamela Pergolini Giornalista – PhD Science Communication Ufficio Stampa di Ateneo Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
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Comunicato Stampa

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Diabete di tipo 2/ RIVELATA UNA PROTEINA CENTRALE NELLO SVILUPPO DELLA MALATTIA GRAZIE A UN’AVANZATA TECNOLOGIa CHIAMATA “FOSFOPROTEOMICA”

Francesca Sacco, ricercatrice dELL’UNIVERSITÀ ROMA “Tor Vergata” HA DESCRITTO i meccanismi molecolari che sono alla base della degenerazione funzionale del pancreaS. LA RICERCA SARÀ PUBBLICATA SULLA RIVISTA INTERNAZIONALE “CELL METABOLISM” DI APRILE. Roma, 14 marzo 2019 - Francesca Sacco, 34 anni, ricercatrice del Dipartimento di Biologia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale “Cell Metabolism” i risultati di una ricerca che identifica i meccanismi molecolari che determinano la degenerazione funzionale nel diabete di tipo 2 delle isole di Langerhans, sensori del glucosio che si trovano all’interno del pancreas e che attraverso la produzione dell’ormone insulina regolano la concentrazione di glucosio nel sangue.Il diabete di tipo 2, la forma più diffusa di diabete, è caratterizzato, da un lato, dalla perdita progressiva della funzionalità delle isole di Langerhans, che diventano incapaci di produrre insulina, dall’altro, da una insoddisfacente risposta di vari organi periferici, come fegato e muscoli, all’insulina.«La concentrazione di glucosio nel sangue, la glicemia, è regolata da un complesso circuito cellulare e molecolare coordinato dall’ormone insulina. -spiega la ricercatrice - Attraverso la produzione di tale ormone le isole di Langerhans nel pancreas regolano la glicemia. L’insulina, a sua volta, stimola alcuni organi, come il fegato e i muscoli, a prelevare il glucosio dal sangue, limitando di conseguenza l’innalzamento della glicemia. Un qualsiasi difetto in questo complesso sistema di regolazione causa il diabete, una sindrome metabolica che affligge circa 350 milioni di persone nel mondo». Francesca Sacco ha descritto i meccanismi molecolari che controllano la produzione di insulina in risposta alle variazioni della concentrazione di glucosio e ha identificato una proteina, GSK3, la cui attività è responsabile della degenerazione funzionale delle isole di Langerhans. «Grazie alla collaborazione con il gruppo del Prof. Matthias Mann dell’Istituto Max Planck di Biochimica a Monaco (Germania) e all’utilizzo di un’avanzata tecnologia di cui l’Istituto dispone nel campo della ricerca proteomica, ovvero l’identificazione delle proteine rispetto alla loro identità, quantità, struttura e alle loro funzioni biochimiche e cellulari, abbiamo scoperto che le alte concentrazioni di glucosio ematiche attivano la proteina GSK3, laddove questa non dovrebbe attivarsi, e che questa, a sua volta, blocca la produzione di insulina. - dichiara la ricercatrice di “Tor Vergata” – La tecnologia che abbiamo utilizzato per l’indagine molecolare è chiamata “fosfoproteomica” e ci ha permesso di descrivere non solo le proteine presenti nel pancreas ma anche la loro attività». La ricerca ha dimostrato che inibendo a livello farmacologico la proteina GSK3, nei topi veniva ripristinata la produzione di insulina e dunque la funzionalità delle isole di Langerhans di topi diabetici, aprendo così la strada allo sviluppo di nuove strategie terapeutiche per combattere il diabete di tipo 2. Francesca Sacco, 34 anni, ha trascorso 5 anni nel laboratorio del Prof. Matthias Mann, dell’Istituto Max Planck di Biochimica a Monaco. A settembre del 2017, con la borsa di studio “L'Oréal Italia per le donne e la scienza” è rientrata in Italia, all'Università di Roma “Tor Vergata”. Qualche mese dopo è diventata ricercatore nel dipartimento di Biologia di “Tor Vergata” grazie al programma per Giovani Ricercatori “Rita Levi Montalcini” del MIUR che permette la reintegrazione in una Università statale italiana di giovani scienziati che hanno lavorato all’estero presso una Università o Centro di Ricerca. Oggi, grazie a un finanziamento AIRC Grant Start-Up, conduce un gruppo di ricerca a “Tor Vergata” per lo studio della resistenza alla chemioterapia di leucemie mieloidi acute, utilizzando la tecnologia della proteomica.

Credits comunicato stampa: a cura di Pamela Pergolini Giornalista – PhD Science Communication Ufficio Stampa di Ateneo Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”

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Convegno Giovanni Galloni