La collezione di piante carnivore
Dire che esistono piante in grado di muoversi molto velocemente è già una novità. Ma aggiungere che esse sono in grado di produrre organi in grado di catturare e digerire animali, questo ci lascia sorpresi. In effetti le piante carnivore, in un certo senso, invertono il normale ordine del mondo vegetale, affascinando da anni intere generazioni di studiosi e suscitando notevole curiosità tra la popolazione.
Uno dei primi che focalizzò l’attenzione sulle piante carnivore fu Charles Darwin. In uno dei suoi numerosi viaggi, rimase affascinato da come alcune piante riuscissero ad esercitare dei movimenti molto rapidi. Anni dopo, nel 1875, pubblicò il libro “Insectivorous plants”. Nel libro lui definì, quella pianta che tanto lo affascinò per la prima volta, “una delle piante più belle del mondo, grazie al suo movimento così rapido e forte”, si riferiva alla Dionaea muscipula J.Ellis. Fu sempre Darwin, che in questo libro dimostrò attraverso semplici esperimenti effettuati sulla Drosera rotundifolia L., a provare l’effettivo incremento del benessere che traevano queste piante, dalla cattura e dall’assimilazione dei nutrienti dalle prede catturate, dimostrando così l’effettiva presenza della carnivoria in queste specie. Il primo a coniare il termine “carnivore” fu Lloyd nel 1942, in quanto prima veniva utilizzato il termine “insettivore”. Venne poi dimostrato che esse catturavano non solo insetti, ma anche artropodi, ed occasionalmente anche piccoli anfibi e mammiferi.
Negli anni a seguire si accentuò l’attenzione su queste piante e numerosi studi vennero fatti per dimostrare come molte altre specie mostravano questa caratteristica e di conseguenza si incrementò anche l’attenzione pubblica. In numerosi film venivano raffigurate le piante carnivore come enormi mostri mangia uomini, come ad esempio nel film “La piccola bottega degli orrori, 1960” e “Godzilla vs Biollante, 1989”. Per fortuna ai giorni nostri, il falso mito di piante carnivore grandi come orsi è finalmente stato superato. Oggigiorno sono state descritte circa 600 specie, distribuite in tutto il mondo, e al contrario di quanto si possa credere circa 35 specie sono presenti anche in Italia.
Ma per quale motivo delle piante avrebbero dovuto evolvere questa caratteristica insolita nel mondo vegetale? Questa caratteristica è il risultato di un adattamento ad ambienti poveri di nutrienti (paludi, torbiere, rupi stillicidiose etc.), caratterizzate da un’abbondante presenza di acqua povera di nutrienti, in particolar modo azoto, e forte acidità del suolo. Inizialmente, la pressione selettiva esercitata da questi ambienti, ha agito su alcune piante che mostravano delle foglie concave in cui si veniva a depositare l’acqua per lunghi periodi e con essa al suo interno si andavano a depositare anche degli insetti. Una volta avviato il processo di decomposizione di questi insetti, venivano rilasciati i nutrienti sulla lamina fogliare di queste piante. L’evoluzione ha agito in questo direzione, ovvero queste piante nel corso di migliaia di anni continuarono ad evolvere sempre più foglie modificate, in grado di raccogliere una maggiore quantità di acqua e di conseguenza anche di potenziali prede. Inizialmente la struttura di queste foglie era molto semplice e la digestione delle prede era affidata all’attività microbica. Successivamente il beneficio che queste piante traevano dall’assimilazione di questi nutrienti esterni (derivanti da insetti) le spinse a sviluppare strutture sempre più complesse, fino ad arrivare a sviluppare delle vere e proprie trappole. In un ambiente povero di nutrienti, avere un’alternativa, risultò una via vincente.
L’origine delle piante carnivore è polifiletica, ovvero si sono evolute a partire da più antenati diversi. Una pianta per essere definita carnivora deve possedere le seguenti caratteristiche:
1. Attirare una preda;
2. Catturare una preda;
3. Digerire una preda;
4. Assimilare i nutrienti derivanti dalla digestione;
5. Trarre beneficio dall’uptake di nutrienti esterni (prede).
Esistono diverse tipologie di trappole:
1. Passive: sono prive di movimento, la secrezione di enzimi è indipendente dalla presenza della preda. Sono divise ulteriormente in:
a. A caduta: Le foglie modificate assumono una forma di imbuto o calice e vengono chiamate
“ascidi”. Sono principalmente formate da un “opercolo” che impedisce l’entrata dell’acqua nella trappola da un “peristoma” che circonda l’apertura della trappola e produce nettare e assume colorazioni tali da poter attirare le prede. Inoltre nella Sarracenia flava L. il peristoma produce la coniina un anestetico per insetti e in alcuni casi presenta dei denti che non consentono la risalita delle prede (es. Cephalotus follicularis Labill.). In seguito è presente una “zona cerosa” (waxy zone) formata dalle pareti interne dell’ascidio che sono rivestite da una sostanza cerosa che non consente la risalita delle prede catturate. In alcuni casi (es. Darlingtonia califonica Torr., Sarracenia minor Walter e Sarracenia leucophylla Raf.) sono presenti sull’ascidio delle areole “false finestre”, che permettono alla luce di entrare nell’ascidio e forniscono una falsa uscita per le prede che provando ad uscire non fanno altro che finire sempre più in fondo nella parte terminale dell’ascidio, dove è presente la zona digestiva ricca di ghiandole che producono enzimi digestivi. Ed in fine è presente solo nelle specie del genere Nepenthes, una struttura il “tendrillo” che consente alle trappole di ancorarsi ai rami di altri alberi. Queste tipologie di trappole si riscontrano nel genere Sarracenia, Nepenthes, Cephalotus follicularis e Darlingtonia californica;
b. A nassa: Queste trappole presentano una particolare forma di “Y” rovesciata. Le trappole producono sostanze volatili che attirano le prede nell’apertura a spirale che caratterizza la parte inferiore della diramazione ad “Y”. Una volta all’interno le prede sono spinte verso la parte superiore della struttura ad “Y” dove è presente la zona digestiva. Questo è reso grazie a dei folti peli indirizzati verso l’interno, che costringono gli insetti a muoversi in una sola direzione. Queste trappole si riscontrano nel genere Genlisea e nella specie Sarracenia psittacina Michx.
2. Attive: Sono dotate di movimento e la produzione di enzimi è dipendete dalla presenza della preda. Sono divise ulteriormente in:
a. A scatto: Questa tipologia di trappola è formata da due lobi. Ogni lobo presenta nella pagina interna una sostanza zuccherina in grado di attirare le prede e da 3 peli sensoriali “Triggers”, che sono i recettori di movimento della pianta. Inoltre ai margini di ogni lobo sono presenti delle ciglia. Il meccanismo di cattura di questa trappola è veramente affascinante ed è reso grazie a dei processi meccanico/fisici. Una volta che la preda si posa sulla pagina interna della foglia va a stimolare i peli sensoriali, essi devono essere stimolati almeno due volte nell’arco di pochi secondi prima che la trappola si inneschi. Questo perché una sola stimolazione potrebbe essere un falso allarme dovuto ad altre cause (vento, pioggia etc.) e quindi, chiudendosi la trappola, la pianta avrebbe speso energie per niente. Il movimento è rapidissimo (circa 0,1 sec) ed avviene grazie ad un cambiamento di turgore tra la pagina esterna e la pagina interna della foglia, causando quindi un rapido movimento dell’acqua tra una pagina e l’altra. Questo fenomeno causa un cambiamento da una forma convessa (fase iniziale) a forma concava (fase finale) dei due lobi, che si manifesta nella chiusura della trappola.
Una volta raggiunto questo stadio se la cattura è andata a buon fine, i peli sensoriali continueranno ad essere stimolati dalla preda all’interno della trappola, quindi ci sarà un’ulteriore stretta definitiva dei due lobi che si andranno a saldare tra di loro. Il costo
energetico di questo movimento è veramente notevole, per questo motivo la pianta ha evoluto diversi punti di controllo per accertarsi che la preda sia stata effettivamente catturata. Questa tipologia di trappola si riscontra nella Dionaea muscipula e nell’Aldrovanda vesiculosa L.
b. A colla: In questo caso la trappola è formata dall’intera lamina fogliare, sulla quale sono presenti diversi peli unicellulari. Quest’ultimi presentano all’apice delle ghiandole, che hanno la funzione di attirare gli insetti grazie alla secrezione di una sostanza zuccherina e di catturarli grazie alla produzione di una sostanza collosa. Inoltre sulla lamina sono presenti numerose ghiandole sessili le quali producono enzimi digestivi in caso di cattura della preda. Solo in alcune specie sono presenti dei “tentacoli”, strutture poste sul margine della lamina fogliare, e assolvono la funzione di una catapulta, ovvero se stimolati catapultano gli insetti nel centro della lamina fogliare. Il meccanismo di trappolamento prevede che una volta che la preda è stata catturata dai peli unicellulari, essi essendo dotati di movimento iniziano a convergere verso il centro della lamina. Questo favorisce l’adesione di un maggior numero di peli al corpo della preda, impedendole di scappare. Successivamente entrano in azione le ghiandole sessili, che una volta avvertita la presenza della preda, iniziano a produrre enzimi digestivi. Questa tipologia di trappola si riscontra nel genere Pinguicula, Drosera e nel Drosophyllum lusitanicum (L.) Link.
c. Ad aspirazione: Queste trappole, che prendono il nome di “utricoli” hanno una struttura molto complessa. Si presentano come delle piccole sacche trasparenti con un diametro che va da 1 a 10 mm. L’apertura della trappola ha una forma circolare simile ad una “porta” la quale è unita sulla parte superiore al resto della trappola con delle cellule flessibili simili a dei veri e propri cardini. Mentre una sottile membrana, il “vellum”, ricopre l’intera apertura sigillandone la chiusura. Esternamente, collegate con la “porta”, sono presenti delle antenne sensoriali chiamate “trigger”. La struttura degli utricoli è simile sia nelle Utricularie terrestri che acquatiche, di seguito sarà descritto il meccanismo di azione delle trappole delle Utricularie acquatiche. La fase iniziale, del meccanismo di trappolamento, prevede l’azione di specifiche ghiandole che pompano l’acqua al di fuori degli utricoli formando all’interno della trappola del sottovuoto. Altre ghiandole poste all’esterno dell’utricolo producono sostanze zuccherine in grado di attirare gli insetti acquatici. L’insetto una volta arrivato in prossimità della trappola, appena vengono sfiorate le antenne sensoriali, si deforma il labbro flessibile della porta, causando la perdita del sottovuoto interno alla trappola e risucchiando all’interno l’acqua e con essa anche la preda. Questo meccanismo avviene ad una velocità impressionante circa due centesimi al secondo, uno dei movimenti più veloce nel mondo vegetale.
La collezione di piante carnivore presente all’Orto Botanico è ancora in fase di sviluppo e crescita. Attualmente sono presenti 39 specie diverse e circa 21 tra ibridi e varietà. Venite a visitarci per poter vedere queste fantastiche piante e scoprire i loro innumerevoli e bizzarri misteri che fanno di loro tra le più affascinanti specie vegetali.