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Fitorimedio

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da un esponenziale incremento demografico, con un conseguente incremento delle aree destinate ad attività umana.
Attività antropiche quali l’agricoltura, la zootecnia, l’urbanizzazione e l’industrializzazione hanno determinato una continua ed elevata immissione di sostanze inquinanti (Residui metabolici e non metabolici, materiale particellato, metalli pesanti, tensioattivi, fitofarmaci, pesticidi, antibiotici, oli etc.) nell’ ambiente, andando ad impattare negativamente sulla qualità degli ecosistemi acquatici e terrestri.
Questo ha causato un alterazione negativa di questi sistemi, causando una perdita della biodiversità, danni economici e alla salute umana ed andando sempre più a compromettere la qualità e la quantità dei servizi ecosistemici che la natura ci offre.
Per far fronte a questo problema, negli anni, sono numerose le risposte che si sono prese in considerazione sia a livello normativo (es. W.F.D., D. lgs. 152/06 per la tutela degli ecosistemi acquatici), che a livello tecnologico.
Per quest’ultimo si è fatto ricorso a nuove tecnologie, che implicassero un’evoluzione dei sistemi tradizionali, quindi energie rinnovabili, agricoltura ed architettura ecosostenibile e tecniche di depurazione naturale.
In questo contesto si inserisce il fitorimedio, una delle principali linee di ricerca dell’Orto Botanico, che rappresenta una biotecnologia in cui vengono sfruttate la naturali capacità delle piante che sono in grado di estrarre, sequestrare, trattenere o degradare le sostanze contaminanti dai suoli e dalle acque.
Ci sono diversi processi di fitorimedio, sfruttati dall’uomo, che si possono individuare nelle piante:
• Fitoestrazione: Processo mediante il quale le piante sono in grado di estrarre il contaminante dalla amtrice contaminata e traslocarlo all’interno della sua biomassa ipogea od epigea;
• Fitostabilizzazione: Il contaminate viene stabilizzato al livello radicale della pianta;
• Fitovolatilizzazione: La sostanza inquinante viene traslocata nella biomassa epigea della pianta e ne viene alterata la sua forma chimica e quindi rilasciata nell’ambiente tramite traspirazione;
• Fitodegradazione: La sostanza inquinante viene degradata dalla pianta all’interno o all’esterno dei propri tessuti;
• Fitostimolazione: La pianta produce determinate sostanze a livello radicale, che consentono la decomposizione dell’agente contaminante da parte dei microrganismi associati ad essa;

L’impiego di questi impianti di fitorimedio consente la ricostruzione di zone artificiali la cui principale utilità risiede nella rimozione degli inquinanti dalle acque e dai suoli inquinati, attraverso la restituzione di parte della capacità autodepurante tipica degli ecosistemi stessi.
Numerosi sono i vantaggi che si possono trarre dall’utilizzo di questa biotecnologia:
• Costi di realizzazione e di gestione limitati;
• Consumi energetici ridotti o nulli;
• Ottimo inserimento paesaggistico;
• Incremento della biodiversità locale;
• Riutilizzo delle biomasse di scarto per approvvigionamento di energia rinnovabile;
• Semplicità gestionale;
• Utilizzo per scopi didattici/ricreativi.

Nonostante i numerosi vantaggi non possono essere tralasicati anche i pochi svantaggi legati all’impiego di questi impianti:
• Necessità di vaste aree per la realizzazione;
• Tempi di avviamento lunghi rispetto agli impianti che ricorrono alle tecnologie tradizionali;
• Capacità depurativa limitata e soggetta alla quantità e qualità della sostanza inquinante presente.

La ricerca nel campo del fitorimedio cerca appunto di far fronte e porre rimedio a questi svantaggi, nel corso del tempo si cercano continuamente nuove metodologie per migliorarne l’efficienza.
Questo risultato si può ottenere modificando la tipologia di impianti utilizzati, ricorrendo al ingegneria genetica, o ancora manipolando le caratteristiche fisico/chimiche dell’ambiente in cui è presente il contaminante, oppure utilizzando nuove specie vegetali e mediante la selezione in vitro di nuove varietà.

Callus1Proprio per questi ultimi due punti è la direzione che sta seguendo l’Orto Botanico. I primi passi sono stati quelli di andare ad individuare una nuova specie vegetale, non utilizzata a livello internazionale nel campo del fitorimedio, che presentasse delle proprietà idonee per poter essere considerata una buona specie per i fini del fitorimedio ovvero: rapida crescita, elevata produzione di biomassa e tolleranza a determinati contaminanti target.
Una volta individuata, mediante diverse prove sperimentali, lo step successivo è stato quello di andare ad ottenere una nuova cultivar della medesima specie, mediante tecniche di selezione in vitro, che presentasse una capacità di fitorimedio maggiore rispetto alla specie wild type.
Questa nuova cultivar potrà essere utilizzata in progetti di riqualificazione di suoli ed acque contaminate da specifici contaminati target.

Oltre a questa linea di ricerca, è in programma la realizzazione presso l’Orto Botanico, di un sistema di fitodepurazione per il trattamento delle acque del Fosso del Cavaliere, un corso d’acqua che scorre lungo il perimetro NE del nostro territorio. Diversi anni di monitoraggio sulla qualità dell’ecosistema del corpo idrico ci hanno permesso di evidenziare il cattivo stato di qualità delle acque in cui versa il Fosso del Cavaliere. Successivamente è stato progettato un sistema di fitodepurazione su misura per il trattamento di queste acque, realizzando prima delle prove sperimentali su scala ridotta. Il sistema di fitodepurazione così progettato sarà costituito da tre bacini idrici in sequenza, per una superficie totale di circa 3.400 mq, il primo dei quali sarà privo di vegetazione. Il secondo sarà un sistema ibrido in cui verranno impiegate tre diverse tipologie di sistemI di fitodepurazione (sub-superficiale a flusso orizzontale con macrofite emerse, flusso superficiale con macrofite sommerse e zattere flottanti con macrofite emerse). Invece l’ultimo bacino sarà a flusso superficiale con l’impiego di macrofite galleggianti.
Infine l’acqua in uscita da questo impianto sarà convogliata in un quarto bacino, che occuperà una superficie di circa 6.000 mq, all’interno del quale verrà accumulata l’acqua trattata. Questo bacino ospiterà diverse collezioni di piante acquatiche ed una ricostruzione della tipica fascia di vegetazione ripariale. L’acqua in uscita da questo bacino di accumulo, sarà in parte restitutita al corso d’acqua, mantenedo così il deflusso minimo vitale, ed in parte utilizzata per l’irrigazione dei diversi giardini tematici che verranno piantumati vicino al lago stesso. Questo progetto avrà molteplici risvolti positivi, tra i quali: miglioramento della qualità dell’ecosistema acquatico del Fosso del Cavaliere, incremento della biodiversità locale (avifauna ed erpetofauna), utilizzo per scopi didattico/ricreativ e sviluppo di nuove linee di ricerca.

Francesco Scuderi