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Artificial muscle cross-section:
laminin (green)
Myosin (red)
Dapi (blue)Neuromuscular plaque in
artificial muscle section:
neurofilament (green)
bungarotoxin (red) -
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Lab. of Neurochemistry
Studio dei meccanismi
molecolari delle malattie
neurodegenerative -
Anemone apennina
Monti SimbruiniFoto di Letizia Zanella -
Studio delle comunità
di batterioplankton nella
Riserva Naturale Regionale
Macchiatonda -
Astrobiologia e biologia
molecolare di......cianobatteri di
ambienti estremi -
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Il Dipartimento di Biologia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” orienta la sua missione formativa e di ricerca su tematiche all’avanguardia degli studi sulla vita in tutti i suoi livelli di organizzazione e varietà. Le diverse aree di ricerca concorrono a sviluppare una piattaforma multidisciplinare su temi quali: i meccanismi molecolari delle malattie neurodegenerative, la regolazione dei processi di cancerogenesi; la caratterizzazione di molecole di origine vegetale ed animale; la valutazione delle comunità ecologiche e il monitoraggio ambientale.
Regolamento Dipartimento di Biologia DR 3756 del 06.12.2012
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Focus.it – 8/1/2014 – elisabetta intini
Identificato il meccanismo molecolare che permette alle piante di scegliere di destinare tutte le risorse disponibili nell’accrescimento, ignorando gli attacchi dei patogeni.
In base allo studio pubblicato sulla rivista eLife (http://elife.elifesciences.org/content/2/e00983 ) e condotto dai ricercatori della Sainsbury Laboratory (Regno Unito) e del Max Planck Institute for Plant Breeding Research (Germania), responsabile della “decisione” delle piante a favore della crescita sarebbe una specifica proteina, la BZR1. [...]
La proteina in questione controllerebbe l’attività dei geni legati al funzionamento del sistema immunitario dei vegetali; la sua attivazione inoltre sopprimerebbe il segnale immunitario dei brassinosteroidi, … http://www.focus.it/ambiente/natura/crescere-o-difendersi-questo-e-il-problema_C12.aspx
Jan
Le Scienze.it – 7/1/2014
Un ettaro di foresta tropicale può ospitare lo stesso numero di specie vegetali di un intero continente alle latitudini temperate. All’origine di questa enorme differenziazione sarebbero i parassiti, il cui sviluppo è favorito dal clima caldo umido, che ha portato a una proliferazione delle difese da parte delle piante e innescato una specie di corsa agli armamenti che ha favorito i processi di speciazione
… E’ questa l’ipotesi avanzata da Phyllis D. Coley e Thomas A. Kursa – rispettivamente dell’Università dello Utah a Salt Lake City e dello Smithsonian Tropical Research Institute a Panama City – in un articolo di commento pubblicato su “Science” ( http://www.sciencemag.org/content/343/6166/35 )
Jan
La Stampa.it – 7/1/2014 - silvia bencivelli
Gli oceani assorbono la CO2 e la trattengono nelle loro profondità, ma sono un ingranaggio fondamentale per gli equilibri dell’atmosfera. La conseguenza è che stanno diventando più acidi. E che la vita di interi ecosistemi marini è gravemente a rischio
[...]
Ne parla l’Ipcc (Intergovernamental Panel for Climate Change) nel suo ultimo rapporto e ne parlano diverse pubblicazioni scientifiche recenti.
Ma l’acidificazione degli oceani non è una novità, anzi: “è una delle poche certezze che abbiamo sui meccanismi complessi dei cambiamenti climatici, perché dietro c’è una chimica facile facile”, spiega Marcello Vichi, oceanografo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) di Bologna. Chimica facile: la CO2 si scioglie in acqua e forma un sale (il carbonato di calcio) liberando uno ione idrogeno, che determina l’acidità dell’acqua. Ma questo significa anche che quanta più CO2 c’è nell’aria (e c’è, ricordiamolo, perché ce la buttiamo noi), tanto più il pH dei mari diventa acido. Finché la CO2 era entro certi limiti, cioè prima che avessimo cominciato a produrla con la combustione di petrolio e affini, non era un problema, anzi: “il carbonato di calcio viene usato da crostacei e coralli per costruirsi il guscio e lo ione idrogeno è stato sempre tamponato in modo che i mari potessero avere più o meno sempre lo stesso pH”. Adesso invece, due secoli e passa dopo l’inizio dell’industrializzazione del pianeta, la storia è diversa. “Gli oceani – prosegue Vichi – hanno già assorbito il 30% della anidride carbonica che abbiamo prodotto fino a oggi: questo ha già comportato una variazione del pH ben misurabile.[...]
La questione è tanto complessa che c’è chi sta cominciando a dire che l’acidificazione dei mari può a sua volta diventare concausa del sovrariscaldamento del pianeta: un articolo pubblicato su Nature Climate Change da ricercatori americani, tedeschi e inglesi ( http://www.nature.com/nclimate/journal/v3/n2/full/nclimate1680.html ), per esempio, ipotizza che l’abbassamento del pH possa modificare il rilascio da parte dell’acqua marina di solfuri. … http://www.lastampa.it/2014/01/07/scienza/ambiente/inchiesta/clima-cresce-lallarme-per-lacidificazione-degli-oceani-sbZ6my9NgClNnyLOeLhBaK/pagina.html
La stampa.it – 7/1/2014
alberto abburrà
Economica, facile da produrre, ma anche redditizia, eterna e, come se non bastasse, pure ecologica. La carta d’identità della bioenergia (quella generata dalla combustione delle biomasse) ha il sapore di uno spot, ed esattamente come avviene per gli slogan che promettono l’impossibile, rischia di nascondere qualche insidia
I dubbi sull’efficienza e la sostenibilità di questa pratica energetica, peraltro già noti e discussi, sono stati raccolti dall’Agenzia europea dell’Ambiente (EEA) che ha pubblicato un rapporto dal titolo: “Bioenergia in Europa da una prospettiva di efficienza delle risorse”. Considerando la crescita del settore che oggi – sempre secondo l’EEA – rappresenta circa il 7,5% della produzione energetica nell’Ue e oltre il 50% del comparto “rinnovabile”, l’obiettivo del rapporto è quello di ridurre gli effetti negativi sull’ambiente. «La bioenergia è una componente importante del nostro mix energetico – spiega il direttore dell’Agenzia, Hans Bruyninckx -, ma le biomasse forestali e il territorio produttivo sono risorse limitate e fanno parte del capitale naturale». Qui emerge il primo problema: lo sfruttamento del territorio. Considerata la natura estensiva delle coltivazioni per produrre biomasse, c’è il forte rischio che venga sottratto spazio ad altri settori (come quello alimentare). E non solo…
http://www.lastampa.it/2014/01/07/scienza/ambiente/focus/bioenergia-leuropa-corregge-il-tiro-EbjY5WkU6hHGlRizpjn9ZM/pagina.html
Università di Tor Vergata